Martedì 19 Marzo 2024

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Reato di falsa testimonianza per uno dei principali accusatori del giovane urologo

Condannato. Per uno squallido reato che si commenta da solo: falsa testimonianza. La decisione di ieri è del Tribunale monocratico di Messina, giudice Maria Giuseppa Scolaro, nell’ambito di un procedimento relativo all’omicidio di Beppe Alfano. Ad essere condannato a 3 anni di reclusione è stato Lelio Coppolino a seguito delle sue dichiarazioni rese nel ‘96 al processo per il delitto del giornalista de La Sicilia avvenuto l’8 gennaio ‘93. Stessa condanna anche per il co-imputato Andrea Barresi.

Le menzogne
Parole stringate quelle che di fatto motivano la condanna di Coppolino. “Per avere negato di avere reso nel corso delle indagini preliminari le seguenti dichiarazioni: ‘E’ vero che tra le ore 22:00 e le ore 22:15/22:20 (dell’8 gennaio 1993, ndr) sono passato per la via Marconi. Ricordo che vi era una macchina ferma sulla corsia di marcia che ostruiva parzialmente la carreggiata, anche se leggermente scostata (…) Ricordo che alla sala giochi ‘Punto Azzurro’ incontrai Maurizio Bonaceto (ex spacciatore di Barcellona P.G. divenuto poi collaboratore di giustizia, ndr) con il quale all’epoca ero in ottimi rapporti. Dissi a Bonaceto che quella sera ero transitato per via Marconi e che avevo superato un’auto ferma proprio nel punto in cui, da quanto appresi, vi era l’auto di Alfano (Beppe, ndr). Ero in effetti spaventato e ne parlai a Bonaceto confidandogli i miei timori. Con mia sorpresa Bonaceto mi disse che anche lui era passato dalla via Marconi e là aveva visto l’auto di Alfano. Bonaceto mi disse di non dire assolutamente a nessuno di essere passato di lì ed io gli dissi di fare altrettanto. Era ovvio il timore di essere stati visti da qualcuno mentre transitavamo dal luogo dell’omicidio’”. La motivazione della condanna di Andrea Barresi è alquanto specifica: per aver “affermato il falso, dichiarando di essersi incontrato con Merlino (Antonino, condannato per l’omicidio di Beppe Alfano, ndr) in piazza S. Sebastiano alle ore 20:45 e di essere con lo stesso entrati nella sala giochi ‘Punto Azzurro’”.

Lelio Coppolino e Attilio Manca
Ed è proprio ricordando chi è Coppolino jr che il mistero della morte di Attilio Manca riprende forma. E’ quindi fondamentale rammentare le dichiarazioni di colui che risulta essere uno dei principali accusatori del giovane urologo siciliano. “Sul finire del liceo - aveva affermato un paio di anni fa Lelio Coppolino al processo di Viterbo sulla morte di Attilio Manca - ho iniziato a fare uso di marijuana con un gruppo di amici, tra cui Attilio. Abbiamo fumato fino ai 21 anni, per poi provare l’eroina che sniffavamo o ci iniettavamo in vena”. Che volete di più? Eccola la prova regina della tossicodipendenza “anomala” di Attilio Manca fornita da quello che era stato il suo migliore amico. E chissenefrega se Lelio Coppolino è il figlio di Vittorio Coppolino, l’uomo che secondo la testimonianza di Angela Manca le avrebbe detto una settimana dopo la morte del figlio: “Siete sicuri che Attilio non sia stato ucciso perché ha operato Provenzano?”. Solo coincidenze. Evidentemente anche per la Procura di Viterbo che, per giungere alla recente sentenza di condanna nei confronti di Monica Mileti - quale unica imputata per la morte di Attilio Manca - si è basata fortemente sulle testimonianze degli ex amici del dott. Manca, tra cui lo stesso Coppolino. Che, dopo aver inizialmente smentito una possibile tossicodipendenza del suo amico, improvvisamente aveva sostenuto il contrario.

Da Viterbo a Barcellona
“‘Dal 1990 in poi - aveva dichiarato nel 2015 l’ex procuratore di Viterbo Alberto Pazienti, davanti alla Commissione Antimafia, citando le dichiarazioni di manca attilio luceLelio Coppolino - Attilio Manca e i ragazzi del suo gruppo hanno iniziato ad assumere eroina. Inizialmente, sniffavano l'eroina sino ad assumerla per via endovenosa’. Precisava Coppolino Lelio che nel 1990, allorché facevano uso di eroina, Manca Attilio si era già trasferito a Roma e che le volte in cui insieme allo stesso facevano uso di eroina avvenivano allorquando l'amico raggiungeva Barcellona per trovare i suoi genitori”. “Nella primavera di un imprecisato anno - aveva quindi evidenziato il pm Pazienti - riferisce il Coppolino che Attilio Manca avrebbe rischiato di morire per un'overdose di eroina, ma che gli era poi andata bene avendo sbagliato il quantitativo”. Dal canto suo l’avvocato Fabio Repici (che assieme ad Antonio Ingroia difende la famiglia Manca) aveva replicato a caldo: “Queste dichiarazioni sono intervenute solo quando qualcuno ha avuto necessità di difendersi dall’accusa di omicidio. È significativo che Lelio Coppolino alluda ad Attilio Manca e a generici e innominati componenti del ‘suo gruppo’. A parte il fatto che Lelio Coppolino è in atto imputato per falsa testimonianza in altro processo (per l’omicidio di Beppe Alfano nel quale oggi è stato condannato, ndr), bisognerebbe interrogarsi sul perché nessuno degli amici e dei colleghi di Viterbo che hanno frequentato Attilio nell’ultimo anno, anche in sala operatoria, con le braccia ben nude e visibili, hanno tutti escluso che Attilio facesse uso di droga. Come si vede, anche queste accuse al morto (caratteristica peculiare delle indagini di Petroselli e Pazienti) hanno matrice barcellonese. Il gruppo barcellonese è stato utilizzato da Petroselli e Pazienti da un lato per escludere che quello di Attilio sia stato un omicidio e dall’altro per attestare che Attilio fosse un eroinomane”.

Il nervosismo di Coppolino
I milioni di telespettatori che seguono il programma di Italia1 “Le Iene” ricorderanno bene il nervosismo di Lelio Coppolino di fronte alle domande di Gaetano Pecoraro. “Chi ha ucciso Attilio Manca? L’eroina o Provenzano?” era il titolo del servizio andato in onda il 10 dicembre 2017. Ed è proprio in quella occasione che Coppolino aveva letteralmente perso le staffe inveendo contro il giornalista e contro le sue legittime domande sulla morte di Attilio Manca. La condanna di ieri di Coppolino jr rafforza quindi la tesi dell’ambiguità delle “prove” raccolte su una possibile tossicodipendenza di Attilio Manca. “Prove” che, in questo caso, sopraggiungono da un testimone condannato per falsa testimonianza. Un dato - pregnante e oggettivo - ora a disposizione del Gip di Roma, Elvira Tamburelli. Che a breve deciderà sulla richiesta di archiviazione del caso Manca avanzata dalla Procura capitolina.

Tratto da: antimafiaduemila.com

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