Martedì 10 Dicembre 2024

di Lorenzo Baldo
“Indagate su Rosario Cattafi e Ugo Manca”

Non archiviate il mistero sulla morte di Attilio Manca! Iscrivete nel registro degli indagati Ugo Manca, cugino del giovane urologo, e il condannato in appello per mafia Rosario Pio Cattafi. Investigate su di loro e sugli altri protagonisti di questo omicidio di mafia e Stato: l’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”, Carmelo De Pasquale, personaggio di grande spessore nell'organigramma mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), e l’ex capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano (tutti e tre deceduti). Andate a interrogare la dottoressa Ranalletta che ha effettuato l’autopsia (definita “infame” dal vicepresidente della Commissione antimafia Gaetti) sul corpo del medico siciliano, quella stessa dottoressa che, in una recente intervista a Le Iene, si è lasciata sfuggire off record alcune considerazioni interessanti ai fini investigativi; interrogate gli ex colleghi del giovane urologo ed altri collaboratori di giustizia, e infine andate a interrogare il tossicologo bolognese Giancane per il quale la morte di Attilio è da attribuire ad un vero e proprio omicidio.

Il documento
E’ racchiusa in una ventina di pagine l’opposizione dei due legali alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma sul caso Manca. Sono dati oggettivi e inoppugnabili quelli elencati da Antonio Ingroia e da Fabio Repici, legali della famiglia del giovane urologo siciliano trovato morto la mattina del 12 febbraio 2004 nel suo appartamento di Viterbo. Il documento si apre con una mera questione di diritto. I due avvocati sottolineano quella che ritengono una palese violazione commessa dalla Procura capitolina: il procedimento relativo a quello che il pm ha definito “omicidio volontario” di Attilio Manca risulta a carico di “ignoti”. Va evidenziato che la dicitura del delitto reca un’aggiunta importante: “aggravato dall’articolo 7”, comporta cioè il coinvolgimento mafioso. Per Ingroia e Repici l’assenza di persone indagate rappresenta il “primo vizio strutturale della richiesta di archiviazione” in quanto “il pubblico ministero ha raccolto elementi indiziari indubbiamente rappresentativi del fumus richiesto dall’art. 335 per la doverosa iscrizione di plurimi soggetti sul registro degli indagati”. E su chi avrebbero dovuto indagare secondo i due legali il Procuratore aggiunto Michele Prestipino assieme al sostituto Maria Cristina Palaia (dallo scorso anno trasferita alla Direzione nazionale antimafia) coadiuvati dal Procuratore capo Giuseppe Pignatone? Per la difesa della famiglia Manca, analizzando le dichiarazioni rese dai pentiti Carmelo D’Amico, Antonino Lo Giudice e Giuseppe Campo, “risulta esplicita l’attribuzione di un ruolo concorsuale nell’omicidio di Attilio Mancaa carico di Giovanni Aiello,detto ‘faccia da mostro’ (…) Rosario Pio Cattafi, Ugo Manca, Carmelo De Pasquale,oltre allo stesso Bernardo Provenzano.

I protagonisti
I due avvocati chiedono al giudice di interrogare la dottoressa Dalila Ranalletta, per le sue affermazioni off record al giornalista delle Iene Gaetano Pecoraro quando ha riferito di essere alquanto “perplessa” per il mancato ritrovamento delle impronte di Attilio Manca sulle due siringhe ritrovate nel suo appartamento, così come per l’assenza del laccio emostatico. In quella occasione la stessa Ranalletta aveva definito il tutto alquanto “sospetto”. A tal proposito viene quindi richiesto un accertamento tecnico attraverso “l’incidente probatorio” sulle “modalità” e “la causa del decesso di Attilio Manca”.
Viene sollecitato ugualmente l’interrogatorio di Francesco D’Amico, fratello del pentito Carmelo D’Amico, in merito a quanto di sua conoscenza sulla morte di Attilio Manca.
I due legali chiedono altresì l’acquisizione delle trascrizioni integrali degli interrogatori resi alla Procura di Messina dall’ex boss Carmelo D’Amico il 28 aprile 2015 e il 13 ottobre 2015. Nello specifico, alla Procura distrettuale di Messina si richiede “ogni informazione utile circa i pericoli corsi e i timori nutriti da Carmelo D’Amico durante la sua detenzione presso il carcere catanese di Bicocca” e molte altre questioni a conoscenza del pentito relative alla morte del giovane urologo. A tal proposito viene richiesto un nuovo interrogatorio dello stesso D’Amico. Vengono di seguito affrontate le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Antonino Giuliano “sulla presenza dell’allora latitante Bernardo Provenzano in provincia di Messina sotto la cura del boss Michelangelo Alfano”. Riflettori puntati anche sui “soggetti orbitanti intorno al circolo Corda Fratres” e “sull’identità del generale dei carabinieri indicato dal collaboratore di giustizia (D’Amico, ndr) come il tramite, insieme a Rosario Pio Cattafi, per il reperimento di un urologo per le esigenze sanitarie di Bernardo Provenzano.
Repici e Ingroia chiedono quindi un nuovo interrogatorio del pentito Nunziato Siracusa. Ma soprattutto chiedono che siano interrogati i collaboratori di giustizia: Vito Galatolo, Antonino Lo Giudice, Consolato Villani e Giuseppe Calabrò. Viene richiesta altresì l’acquisizione dell’intercettazione della conversazione nella quale il boss di Belmonte Mezzagno, Francesco Pastoia “ebbe a pronunciarsi su un medico urologo che si era occupato delle cure sanitarie apprestate a Bernardo Provenzano”. Altri atti ancora da espletare e una serie di documenti allegati concludono quindi l’opposizione depositata ieri dagli avvocati della famiglia Manca. La parola passa ora al Gip romano Elvira Tamburelli che nelle prossime settimane dovrà affrontare il caso. Mille pensieri scuotono il cuore e la mente di Angelina Manca che, assieme a suo marito Gino e al loro figlio Gianluca, continua a cercare la verità nonostante le evidenti opposizioni di uno Stato che non vuole fare luce sui propri misfatti. “Ci sarà un giudice che avrà la forza e il coraggio di trovare la verità?”, è il leit motiv di chi cerca giustizia in un Paese al contrario come il nostro. La speranza di un’intera famiglia, alla quale si è aggiunta un’intera collettività e tante personalità importanti, è racchiusa in un appello, oggi rivolto al Gip Tamburelli, che in pochi mesi ha raccolto 30.000 firme, sintetizzato in tre parole: No all’archiviazione!

Tratto da: antimafiaduemila.com

0
0
0
s2smodern