di Lorenzo Baldo
Angelo Porcino ai domiciliari, nuovo schiaffo ai familiari delle vittime di mafia
“Ormai non c’è più niente da fare, in questo modo stanno rafforzando la mafia. I mafiosi hanno preso il sopravvento, stanno vincendo loro. Ma come possono i ministri Bonafede e Lamorgese permettere tutto questo? Che vergogna...”. E’ solo un sussurro la voce di Angelina Manca, poche parole pronunciate al telefono dopo la notizia della scarcerazione di Angelo Porcino, pericoloso boss mafioso, ritenuto un elemento di spicco del Clan di Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Accanto ad Angelina c’è Gino, in silenzio, annichilito da troppo dolore. Le parole della madre di Attilio Manca racchiudono un sentimento che accomuna tanti familiari di vittime di mafia. Persone che hanno pagato il prezzo più alto e che ora percepiscono quello che a tutti gli effetti appare come un segnale di resa da parte dello Stato. Ad Angelina e a tutti loro non interessano le sterili polemiche - di chi mente sapendo di mentire - e minimizza la gravità del segnale che sta passando con queste scarcerazioni. L’appello inascoltato lanciato da magistrati come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri, Catello Maresca ed altri addetti ai lavori restituisce l’immagine di uno Stato sordo, a dir poco impreparato a gestire questa emergenza e soprattutto responsabile di questo gravissimo arretramento sul fronte della lotta alla mafia. Graffiano ancora forte le parole di Don Luigi Ciotti che ha ricordato che non si tratta di detenuti comuni, ma di persone responsabili di crimini efferati “che hanno colpito al cuore la nostra democrazia e ucciso tanti che la democrazia e la giustizia hanno servito con coerenza e coraggio, sino al sacrificio di sé”. “Una memoria sacra - la definisce don Ciotti - quella delle vittime delle mafie, come sacro è il dolore dei loro famigliari”. Memoria e dolore, che per il fondatore di Libera sono un monito a “costruire una società libera dalle mafie e dalla corruzione, la società delineata dagli articoli della Costituzione e custodita nel suo spirito”. Ed è proprio contro questo spirito che “va il provvedimento che trasforma la detenzione al 41-bis dei boss mafiosi in arresti domiciliari”. Un provvedimento “inaccettabile” perché, come evidenzia don Ciotti, proprio il 41-bis garantisce il distanziamento sociale. E all’interno del sistema carcerario, in caso di accertate patologie “esistono strutture sanitarie in grado di accogliere e curare al meglio i detenuti malati”.“Nessuno di questi boss - sottolinea infine il fondatore del Gruppo Abele - ha mai dato segni concreti di ravvedimento, collaborando perché sia garantita giustizia alle vittime e ai loro famigliari”. Ed è questo un punto fondamentale della questione scarcerazioni - volutamente ignorato dai molti polemisti dell'ultima ora - e cioè che in tutto questo delirio nessuno si preoccupa della mancata giustizia alle vittime e ai loro familiari.
L’ombra nera di Angelo Porcino
Per comprendere l’assoluta gravità della scarcerazione di Angelo Porcino basta rileggere alcuni passaggi dell’esposto dei legali della famiglia Manca, Fabio Repici e Antonio Ingroia, depositato nel 2015 alla Procura di Roma con l’obiettivo di far aprire alla Dda capitolina un fascicolo di indagine sulla morte violenta di Attilio Manca. Sappiamo tutti come è andata a finire e cioè che nel 2018 il Gip Elvira Tamburelli ha posto una pietra tombale sul caso Manca attraverso una vergognosa archiviazione. Ma le parole contenute nell’esposto di Repici e Ingroia meritano di essere riprese. Nel documento i due legali citano il primo esposto rivolto il 23 febbraio 2004 alla Procura di Viterbo e quello successivo rivolto alla Dda di Messina. Con tali atti “si segnalavano i contatti intercorsi nelle ultime settimane di vita fra Attilio Manca e Ugo Manca (suo cugino, ndr) e anche la visita a Viterbo, preannunciata da Ugo Manca, che avrebbe fatto ad Attilio Manca per non meglio precisate ragioni il pregiudicato Angelo Porcino, condannato il 19 dicembre 2014 dalla Corte di Assise di Messina anche per associazione mafiosa, quale componente della famiglia di Cosa Nostra di Barcellona Pozzo di Gotto. Angelo Porcino è solo uno dei soggetti organici alla famiglia mafiosa barcellonese cui da sempre Ugo Manca è stato legato”. “Nel corso del tempo - si legge ancora - gli scriventi hanno segnalato all’Autorità Giudiziaria anche i legami fra Ugo Manca e uno dei capi della famiglia mafiosa barcellonese, Rosario Pio Cattafi (anche a lui magicamente a piede libero a Barcellona Pozzo di Gotto, ndr) e hanno anche prodotto la relazione di servizio della Compagnia CC. Di Barcellona Pozzo di Gotto del 7 maggio 2002, attestante la partecipazione di Ugo Manca (insieme ai suoi amici Angelo Porcino e Lorenzo Mondello) a un summit di mafia tenutosi nei locali di un’azienda agricola, plausibilmente per festeggiare l’allora momentanea assoluzione del mafioso Antonino Merlino nel processo per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano”. Lo stesso Repici, in un’intervista rilasciata successivamente, alla domanda sui personaggi “chiave” di Barcellona Pozzo di Gotto nella morte di Attilio Manca, era stato alquanto esplicito nell’indicare tra questi anche Angelo Porcino“la cui visita a Viterbo a una decina di giorni dalla sua morte fu preannunciata ad Attilio Manca dal cugino Ugo. Angelo Porcino è un pezzo da novanta della mafia barcellonese. Qual è il motivo di quella preannunciata visita? Anche in questo caso il comportamento di Attilio suscita riflessioni. Infatti, dopo aver ricevuto quella comunicazione da Ugo Manca, telefonò al padre per chiedergli se conoscesse questo Angelo Porcino” senza però avere alcuna delucidazione in merito in quanto entrambi i genitori “erano degli onesti e ingenui docenti che prima di doversi confrontare con la tragica morte di Attilio non disponevano per nulla degli strumenti cognitivi per comprendere certe dinamiche”.
Dopo essere stato indagato assieme a diversi personaggi di Barcellona P.G., la posizione di Porcino nel caso Manca è stata successivamente archiviata dalla stessa procura di Viterbo; una procura nota per aver imbastito un processo per la morte del giovane urologo (nel quale è stata condannata Monica Mileti con l’accusa di aver ceduto le dosi di eroina che lo hanno ucciso) in cui Attilio Manca è stato fatto passare per “colpevole”. Ma questa è solo un’ennesima storia della malagiustizia in Italia. Che si allinea perfettamente con lo scempio delle recenti scarcerazioni a cui stiamo assistendo. Uno scempio che sortisce l’effetto di infierire ulteriormente sul dolore di chi al diritto di avere da questo Stato giustizia e verità. Se questo è ancora un Paese “civile” l’appello di Angelina Manca ai ministri Bonafede e a Lamorgese, unito a quello di tanti altri familiari di vittime di mafia non deve cadere nel vuoto.
Tratto da: antimafiaduemila.com
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