I buchi neri della motivazione della sentenza di appello per la morte del giovane urologo
di Lorenzo Baldo
“Gli indizi a carico della Mileti appaiono fragili ed equivoci, ed in tale quadro probatorio l’eventualità della cessione di stupefacenti da parte dell’imputata, avvenuta nelle circostanze di cui all’imputazione, è solo una tra le tante possibilità, che non è suffragata da concreti elementi. S’impone, pertanto, l’assoluzione dell’imputata dal reato a lei contestato, non essendo stata dimostrata la sussistenza del fatto”. Per trovare un punto fermo nella morte di Attilio Manca potremmo partire dalla conclusione della motivazione della sentenza della III sezione penale della Corte di Appello di Roma, presieduta da Gianfranco Garofalo, che lo scorso 16 febbraio ha assolto Monica Mileti. A riportarne ampi stralci è il sito tusciaweb. In attesa di leggere il documento integrale va quindi evidenziato che la Corte ha riconosciuto la fragilità degli indizi a carico dell’unica imputata condannata, e questo è a tutti gli effetti un punto fermo. Ma le successive incongruenze appaiono in tutta la loro evidenza in un passaggio cruciale del documento. E’ lì che per l’ennesima volta la figura di Attilio Manca viene ulteriormente infangata. “Gli elementi raccolti - scrivono i giudici - dimostrano con certezza l’esistenza di un pregresso rapporto di conoscenza e di occasionale frequentazione (tra Attilio Manca e Monica Mileti, ndr), ed evidenziano che tale rapporto poteva essere in qualche modo connesso al procacciamento di eroina. Può infatti ritenersi dimostrato che in alcuni periodi la Mileti aveva procurato al Manca sostanze stupefacenti, in quanto tale circostanza è stata riferita da tre testimoni, amici di quest’ultimo, con attendibili e concordanti dichiarazioni”. Quindi: Attilio è un tossicodipendente di vecchia data, negli anni si è sempre rifornito di droga dalla Mileti, ed è riuscito a nascondere la sua dipendenza ad amici e colleghi che lavoravano a stretto contatto con lui in turni massacranti all’ospedale Belcolle. Basta però rileggersi le dichiarazioni degli ex amici di Attilio per rendersi conto della caratura morale dei personaggi in questione. “Con Attilio – aveva raccontato in aula Salvatore Fugazzotto – ho fatto uso di eroina negli anni ’80. Andavamo a comprare la droga in piazza e, in Sicilia, Attilio è stato anche coinvolto nell’operazione antidroga Mare Nostrum”. “Sul finire del liceo – aveva di seguito affermato Lelio Coppolino – ho iniziato a fare uso di marijuana con un gruppo di amici, tra cui Attilio. Abbiamo fumato fino ai 21 anni, per poi provare l’eroina che sniffavamo o ci iniettavamo in vena”.
Partiamo dai dati di fatto: Coppolino e Manca si conoscono alla scuola elementare negli anni ’70. Con Fugazzotto invece Attilio è compagno di banco alle scuole medie, per poi proseguire l’amicizia al liceo classico. Con entrambi il rapporto continua negli anni. Tutte le altre accuse sulla sua pseudo tossicodipendenza sono state smentite dalle testimonianze degli amici e colleghi di Attilio che però non sono state prese in considerazione dagli inquirenti.
Al processo di Viterbo il Procuratore Auriemma aveva chiesto chi avrebbe fornito l’eroina ad Attilio Manca, dal canto suo Coppolino aveva indicato la sessantenne romana Monica Mileti chiamata scherzosamente “Monique”. “Attilio mi ha raccontato che tra loro c’era un rapporto di fiducia e che Monique era la sua unica via d’accesso al mondo della droga. Nonostante facesse uso di eroina, Attilio non ne era dipendente. Era un assuntore sporadico e poteva restare senza dose per due, tre mesi o addirittura un’intera stagione”. Dello stesso avviso Fugazzotto: “Negli anni ’90 io ho smesso (con la droga, ndr), ma lui ha continuato a farne uso, anche se sporadicamente. Era una persona intelligente e sapeva a cosa andava incontro, ma ogni tanto voleva ‘ubriacarsi’ con quella roba”. Andando a spulciare negli atti si riscontra che le “tracce” di marijuana nella vita di Attilio Manca risultano unicamente nel ricordo della sua gita in Spagna del 1987 ai tempi del liceo. Ma per Lelio Coppolino dagli spinelli fumati “fino ai 21 anni”, si è passati all’eroina “che sniffavamo o ci iniettavamo in vena”. Attilio Manca coinvolto nell’operazione antidroga “Mare Nostrum”? Un’altra grossolana falsità. Accanto al cognome “Manca” era indicato il nome del cugino di Attilio, Ugo, che di fatto risultava coinvolto, arrestato e successivamente condannato a 9 anni per traffico di droga (assolto in appello con sentenza divenuta irrevocabile). Il nome di Attilio - inizialmente inserito – era risultato poi un mero errore. Il suo riferimento, quindi, era stato immediatamente rimosso in quanto completamente estraneo a quelle vicende di droga.
Ugo Manca che descrive il cugino Attilio come un tossicodipendente? Certo è che a dicembre del 2003 è lo stesso Ugo Manca a chiedere ad Attilio di operarlo a Viterbo. Si tratta di un banalissimo intervento di varicocele che poteva fare in Sicilia. “Ma perché lei si sarebbe fatto operare da un tossico?”, aveva chiesto la giornalista di “Servizio Pubblico”, Francesca Fagnani, a Ugo Manca prima di essere letteralmente buttata fuori di casa dal cugino del giovane urologo. Quella domanda non ha mai avuto risposta. Così come il mistero delle impronte di Ugo ritrovate nel bagno dell’appartamento di Attilio.
E’ a dir poco singolare che tra quegli ex amici di Attilio, le cui dichiarazioni vengono ritenute dalla Corte di Appello di Roma “attendibili e concordanti”, spicca Lelio Coppolino. Lelio è il figlio di Vittorio Coppolino che, secondo la testimonianza di Angela Manca, una settimana dopo la morte del medico siciliano (quando ancora nessuno, compresi i magistrati, era a conoscenza dell'operazione di Provenzano a Marsiglia) avrebbe detto ai genitori del dottor Manca: “Siete sicuri che Attilio non sia stato ucciso perché ha operato Provenzano?”. Dal canto suo Vittorio Coppolino ha sempre negato di essersi rivolto ai coniugi Manca con quelle precise parole. Dietro le quinte è rimasta l’ipotesi che il giovane urologo abbia potuto confidare qualcosa al suo vecchio amico Lelio e che quest’ultimo lo abbia riferito al proprio padre. Coppolino jr, così come aveva ricordato l’interrogazione parlamentare dei 5 Stelle sul caso Manca, “prima smentisce ‘categoricamente’ la tossicodipendenza di Attilio Manca e diversi anni dopo la afferma con decisione, senza che gli inquirenti si pongano il perché di tali ritrattazioni”. Va necessariamente ricordato che Lelio Coppolino è stato condannato in primo grado a 3 anni per falsa testimonianza (assieme ad Andrea Barresi) nell’ambito di un procedimento relativo all’omicidio di Beppe Alfano.
Per quanto riguarda l’altro ex amico, Salvatore Fugazzotto, basterebbe ricordare la sua strana telefonata ad Attilio del 10 febbraio 2004, due giorni prima del ritrovamento del suo cadavere, avvenuta alla presenza della collega del giovane urologo, Loredana Mandoloni. Una telefonata che, a detta della stessa Mandoloni, aveva sortito l’effetto di innervosire Attilio al punto da fargli prendere la decisione di partire immediatamente per Roma. Fugazzotto ha sempre negato una simile circostanza tergiversando sui contenuti di quella conversazione. Certo è che Salvatore è un grande amico di Ugo Manca, al punto da averlo scelto come padrino di cresima, nonché amico dell’architetto barcellonese Guido Ginebri che a sua volta aveva presentato Monica Mileti ad Attilio Manca. E proprio in merito a Ginebri va ricordato che lo stesso è amico di Ugo Manca, nonché co-imputato assieme a quest’ultimo al processo “Mare Nostrum – droga” (Guido Ginebri è stato assolto in primo grado con sentenza divenuta definitiva). Allo stesso modo non vanno dimenticati i frenetici contatti telefonici intervenuti tra lo stesso Ginebri e Ugo Manca il giorno del rinvenimento del cadavere di Attilio. Dati oggettivi. Che però – anche da parte di questa Corte – sono stati ignorati. Così come è stata ignorata la lettera accorata dei genitori di Attilio inviata via pec alla III sezione della Corte di Appello di Roma il 30 dicembre 2020. Nella missiva Gino e Angelina chiedevano con forza al dott. Gianfranco Garofalo di rifiutare “di dare seguito alla farsa iniziata a Viterbo” con la preghiera di pronunciare la sentenza “solo dopo aver acquisito tutte le prove. A partire dall'audizione di quei sei collaboratori di giustizia” che non sono mai stati ascoltati nel processo viterbese per la morte di Attilio Manca. Venivano quindi citati collaboratori del calibro di Carmelo D'Amico, Giuseppe Setola, Giuseppe Campo, Stefano Lo Verso, Antonino Lo Giudice ai quali recentemente si è aggiunto il pentito milazzese Biagio Grasso. Nessun approfondimento però è stato fatto in tal senso, così come in merito all’ipotesi che Attilio sarebbe stato ucciso perché avrebbe visitato Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata (prima o dopo il suo intervento in Francia) e soprattutto perché sarebbe stato un testimone scomodo della rete di protezione attorno al boss Bernardo Provenzano eretta da una parte “deviata” dello Stato.
La necessità dei Manca di affidarsi ad una pec per inoltrare una simile istanza era dovuta al fatto che nel 2014 il Gup di Viterbo aveva stabilito che il reato di “omicidio colposo”, attribuito alla Mileti, era caduto in prescrizione, mentre lo “spaccio di sostanze stupefacenti” – l’altro reato per la quale la donna è finita sotto processo – non aveva determinato danni alla famiglia del congiunto deceduto. Con un tratto di penna il padre, la madre e il fratello di Attilio (difesi dagli avvocati Fabio Repici e Antonio Ingroia) erano stati quindi esclusi dal processo. Una vera e propria aberrazione giuridica. Alla quale si era aggiunta la dichiarazione del legale di Monica Mileti, Cesare Placanica. “La procura di Viterbo – aveva dichiarato quest’ultimo lo scorso 6 gennaio all’AGI – mi aveva detto ‘ma falla confessare perché noi lo qualifichiamo quinto comma ed il quinto comma si prescrive a breve’. Sennonché io l’ho spiegato alla mia assistita e lei mi ha detto ‘ma io posso confessare una cosa che non ho fatto?’”. Intervistato da Paolo Borrometi l’avv. Placanica era stato ulteriormente esplicito specificando di aver spiegato a Monica Mileti che “in teoria la può confessare, perché ottiene un’utilità”. Poi però si era posto una domanda: “Ma si può portare una a confessare una cosa che non ha fatto? Questa (la Mileti, ndr) ha pagato di non avere detto una fesseria che metteva una pietra tombale sopra a questa storia, perché nell’attimo in cui lei confessava, la storia finiva”. Una storia che oggi per la Mileti potrebbe sembrare finita, anche se lei è tra i principali protagonisti che potrebbe invece riscriverla raccontando una volta per tutte perché ci ha riferito di sentirsi “un capro espiatorio”. Non è un epilogo invece per i familiari di Attilio che oggi hanno dovuto subire un’ennesima umiliazione. Al telefono Angelina è annichilita dalla disillusione: “La verità su Attilio non verrà fuori mai, mi sento demoralizzata… Ma se non sapremo qua la verità, la conosceremo in un altro posto...”.
Tratto da: antimafiaduemila.com
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