Sabato 12 Ottobre 2024

di Lorenzo Baldo
Sotto accusa le sue dichiarazioni relative alle “prove false” e al “depistaggio” nelle indagini sulla morte del giovane urologo

In un Paese sottosopra, dove la giustizia - troppo spesso - funziona al contrario, la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per calunnia nei confronti dell'ex pm Antonio Ingroia (pubblicata stamane sul sito di Tuscia Web) rientra in una sorta di “normalità”. Quella che, però, continua a non essere “normale” è la metodologia della Procura di Viterbo che persegue una strada tracciata dai magistrati Petroselli e Pazienti (ormai in pensione). Piuttosto che scandagliare ulteriormente le tante zone d'ombra che circondano la strana morte dell'urologo siciliano, Attilio Manca, si preferisce rinviare a giudizio un avvocato come Ingroia che, assieme al collega Fabio Repici, difende la famiglia del giovane medico trovato morto il 12 febbraio 2004.

Indagato
Il 25 novembre 2014 era uscita la notizia che l'ex procuratore aggiunto di Palermo era stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Viterbo con l'accusa di aver incolpato ingiustamente l'ex dirigente della Squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava, di falso ideologico per la sua informativa sulle indagini relative alla morte di Attilio Manca. Il pm Petroselli aveva sottolineato che le accuse di “depistaggio” attraverso la costruzione di “prove false” erano state pronunciate durante l’udienza preliminare del 3 febbraio 2014 relativa al procedimento penale per la morte del giovane medico che vede come unica imputata la romana Monica Mileti, accusata di aver ceduto la dose fatale di eroina che ha provocato la morte del giovane urologo. Durante la conferenza stampa lo stesso Ingroia aveva evidenziato la palese anomalia del suo avviso di garanzia: è la prima volta che un avvocato viene incriminato per calunnia per quello che ha dichiarato nel corso dell’udienza. L’ex pm aveva quindi spiegato che bisognava essere “analfabeti del diritto” per non conoscere che l’art. 598 del codice penale prevede una specifica causa di non punibilità per le offese contenute negli scritti e nei discorsi che le parti, pm e difensori, rendono davanti all’Autorità giudiziaria.

Il “casus belli”
Ma quali sono le “prove false” che hanno portato al “depistaggio” di cui parla Ingroia? Basta riprendere la registrazione della puntata di Chi l'ha visto? del 9 gennaio 2014. In quella occasione il giornalista Paolo Fattori aveva confrontato il verbale della squadra mobile di Viterbo, guidata all'epoca da Salvatore Gava, con i registri dell'ospedale “Belcolle”, dove Attilio Manca lavorava. Da quel confronto era emersa una evidente verità: Attilio Manca non era in ospedale nei giorni del ricovero di Bernardo Provenzano a Marsiglia. Un fatto oggettivo che si scontrava – e si scontra – con la relazione firmata dallo stesso Gava nella quale veniva invece scritto che l'urologo bercellonese era di turno all'ospedale nei giorni in cui il boss si trovava in Francia per sottoposti ad un'operazione alla prostata. I giorni in cui era segnata la mancata presenza di Attilio Manca sono quelli tra il 20 e il 23 luglio 2003, poi dal 25 al 31 luglio 2003 e infine nei giorni del 25, 26 e 31 ottobre 2003 (il 30 se ne era andato via intorno alle 15:30, prima quindi che terminasse il suo turno). Il giovane urologo era quindi rientrato in servizio la mattina del 1° novembre. E proprio i giorni in cui il dott. Manca era assente dal lavoro coincidevano con il periodo nel quale Provenzano (tra esami preparatori, intervento alla prostata, e successivi esami di controllo) si trovava in Francia.

L'uomo della Diaz
Certo è che il principale protagonista di quello che viene indicato come un vero e proprio “depistaggio” è tornato recentemente alla ribalta mediatica. Salvatore Gava è infatti lo stesso pubblico ufficiale già condannato a 3 anni, in via definitiva, per un falso verbale all’epoca delle violenze alla scuola Diaz nel 2001. La sua informativa sul caso Manca è stata obiettivamente smentita dal confronto con i registri dell’ospedale dove lavorava il dott. Manca. Restano però aperti gli interrogativi sul perché in quella relazione si leggeva che la presenza di Attilio Manca sul luogo di lavoro era stata appresa “in via informale” quando “formalmente” i fogli dell’ospedale dicevano tutto il contrario? Non si capisce dunque dove fossero i presupposti di calunnia da parte di Antonio Ingroia. Sta di fatto che la richiesta di rinvio a giudizio è stata comunque avanzata. Poco importa che il pm Petroselli è lo stesso magistrato che, dopo diverse richieste di archiviazione sul caso specifico, ha chiesto e ottenuto l’esclusione della famiglia Manca, quale parte civile, dal processo che si sta celebrando a Viterbo nei confronti di Monica Mileti. Per giustificare la sua – immorale – decisione Petroselli ha affermato che i genitori e il fratello di Attilio non sono stati danneggiati dalla morte del loro familiare. Il Gip gli ha dato ragione. E nel Paese della giustizia al contrario questo fiume carsico continua a scorrere.

Tratto da: antimafiaduemila.com

In foto da sinistra: la madre di Attilio Manca, Angelina, Antonio Ingroia e il fratello Gianluca
tusciaweb)

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