Ingroia: “Se riscontrate sono dichiarazioni-bomba che confermano la nostra pista”
di Lorenzo Baldo
“Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato a 30 anni quale mandante dell'omicidio di Beppe Alfano, ndr). Lo incontrai a Barcellona, presso un bar che fa angolo, situato sul Ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché 'aveva fatto ammazzare' Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della 'Corda Fratres', aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”. Rimbalzano forti le dichiarazioni del pentito Carmelo D'Amico rese ad ottobre del 2015 e pubblicate oggi sulle pagine della Gazzetta del Sud. L'ex capo dell’ala militare di Cosa Nostra barcellonese racconta due confidenze raccolte tra il 2004 e il 2006 nelle quali spiccano i Servizi segreti dietro l’omicidio dell’urologo barcellonese Attilio Manca. Queste clamorose rivelazioni sono emerse ieri mattina durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame di Messina. Il collegio presieduto da Antonino Genovese doveva occuparsi del ricorso della Procura generale contro la scarcerazione di Saro Cattafi. Come è noto l'ex avvocato barcellonese era stato condannato in primo grado a 12 anni come capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Di fatto in appello Cattafi era stato riconosciuto un semplice affiliato, e solo sino all'anno 2000, e la pena gli era stata ridotta a 7 anni di reclusione. Fatto sta che il 4 dicembre 2015 gli stessi giudici della Corte d’Appello ne avevano disposto la scarcerazione.
Cattafi: il regista occulto
“Rugolo non mi specificò se l’urologo Manca era già stato individuato come medico che doveva curare il Provenzano – si legge ancora nei verbali di D'Amico – e il compito del Cattafi era soltanto quello di entrare in contatto con il Manca, o se invece fu lo stesso Cattafi che scelse e individuò il Manca come medico in grado di curare il Provenzano. Rugolo Salvatore ce l’aveva a morte con Cattafi perché, proprio alla luce di quel compito da lui svolto, lo riteneva responsabile della morte di Attilio Manca che riteneva sicuramente essere un omicidio e non certo un caso di overdose. Rugolo non mi disse espressamente che Cattafi aveva partecipato all’omicidio di Manca ma lo riteneva responsabile della sua morte per i motivi che ha sopra detto. Quando Rugolo mi disse queste cose, io ebbi l’impressione che mi stesse chiedendo di eliminare il Cattafi, cosa che era già successa in precedenza, così come ho già detto quando ho parlato di Saro Cattafi) perché ritenuto il responsabile della cattura di Nitto Santapaola”. Per la cronaca, Salvatore Rugolo, medico di base di Barcellona P.G., morì nel 2008 a 59 anni in un incidente stradale.
D'Amico, Nino Rotolo e Attilio Manca
Oltre ai colloqui con Rugolo c’è un'altra confidenza di cui riferisce D’Amico: “Successivamente ho parlato di queste vicende quando sono stato detenuto presso il carcere di Milano-Opera in regime di 41 bis insieme a Rotolo Antonino. Mi confidò che erano stati i Servizi segreti a individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano. Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai Servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni. Rotolo Antonino, sempre durante la nostra comune detenzione presso il carcere di Milano-Opera, mi disse che Attilio Manca era stato eliminato proprio perché aveva curato Provenzano e che ad uccidere quel medico erano stati i Servizi segreti”.
Il direttore del Sisde e il calabrese dalla faccia brutta
“In quella circostanza – prosegue D'Amico – Rotolo mi aggiunse che di quell’omicidio si era occupato, in particolare un soggetto che egli definì 'u calabrisi'; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai Servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del 'Direttore del Sisde', che egli chiamava 'U Diretturi'. Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del 'calabrese' e del 'Direttore del Sisde', né io glielo chiesi espressamente. In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come 'U Bruttu', ma non so dire il motivo, e che era 'un curnutu', nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi”. Un velato riferimento all'agente dei Servizi soprannominato “faccia da mostro”?
Antonio Ingroia: “Se riscontrate, sono dichiarazioni-bomba che confermano la nostra pista”
Seppur in attesa di leggere i verbali integrali, il ragionamento dell'avvocato che assiste la famiglia Manca assieme a Fabio Repici è alquanto esplicito: “Si confermano tutte le nostre ricostruzioni e si apre una pista consistente che si muove nel solco della nostra ricostruzione”. Per Ingroia “è curiosa e paradossale la circostanza che queste dichiarazioni vengano fuori all'indomani della notizia della richiesta di rinvio a giudizio nei miei confronti per calunnia per aver detto sostanzialmente le stesse cose che emergono (prospettate da un altro punto di vista) dalle rivelazioni di D'Amico”. “Sono abbastanza sconvolto dal tenore di queste dichiarazioni – sottolinea l'ex pm – che prospettano una realtà ben al di là di quella che noi sospettavamo. Abbiamo sempre pensato che ci fosse una mano dei Servizi segreti, ma dalle dichiarazioni di D'Amico - che vanno ovviamente verificate e riscontrate - emerge addirittura che c'è piuttosto la piena responsabilità dei Servizi nell'esecuzione materiale dell'omicidio Manca. Tutto ciò inquadra quell'omicidio in un contesto ancora più grave, inquietante e ancora più complesso di quanto non lo avevamo ricostruito”. Il legale dei Manca parla appositamente di una conferma della loro “intuizione di fondo” che inquadrava un “depistaggio articolato e raffinato” suddiviso in due aspetti: quello “preventivo” relativo alla “messinscena della scena del delitto”, e quello “successivo” nelle indagini “con la manipolazione e la falsificazione delle prove per allontanare qualsiasi collegamento tra Manca e Provenzano”. “Ho sempre ritenuto impensabile che fosse un depistaggio di sola mafia”, sottolinea Ingroia. Che ribadisce la sua convinzione di aver sempre ritrovato “un forte odore di Servizi”. “Conseguentemente l'omicidio non poteva essere di sola mafia, ma ci doveva essere la stessa mano di quegli apparati” in quanto collegati alla rete di protezione di Provenzano. Che “non era di sola mafia, ma era anche di Servizi”. Una vera e propria “rete di protezione” che serviva a “tenere in piedi la trattativa e garantire attraverso il permanere della latitanza di Provenzano e della sua rete di protezione il perdurare dei garanti della trattativa”. “Provenzano era il garante sul versante mafioso della trattativa e quindi doveva rimanere al sicuro lui con la sua rete di protezione mafiosa e dei Servizi”.
Dopo il clamore mediatico, si apre quindi un possibile fronte giudiziario. “Stamattina – spiega l'avv. Ingroia – ho preso contatti con il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone – che mi diceva di non conoscere queste dichiarazioni –, e con il procuratore di Messina, Guido Lo Forte, anticipando una nostra richiesta di acquisizione di questi verbali. Resta paradossale che queste dichiarazioni non siano mai venute a conoscenza della procura di Roma e che non siano state messe a disposizione della famiglia Manca, così come della Procura di Viterbo”. Certo è che Carmelo D'Amico ha riferito per la prima volta queste confidenze dopo i 180 giorni concessi ai collaboratori di giustizia per legge. Non ne aveva fatto cenno nemmeno questa estate al processo d'Appello nei confronti di Cattafi. Per Ingroia “è comprensibile che un pentito, di fronte ad uno scenario così terribile, nel quale si danno degli elementi che possono consentire di risalire all'identificazione di alti funzionari (si parla di generali dei Carabinieri e di un direttore del Sisde), non se la senta di dire certe cose in dibattimento. E' successo altre volte, con collaboratori anche più importanti, non possiamo meravigliarci. E' evidente che questo comporterà dei problemi nella valutazione dell'attendibilità delle sue dichiarazioni, ci saranno le solite polemiche sulle cosiddette 'dichiazioni a rate' dei pentiti. Il problema della possibile inutilizzabilità riguarda le dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari e non le dichiarazioni rese a dibattimento. Verrebbe quindi meno il problema se D'Amico, in una pubblica udienza, venisse a ripeterle. Trovare i riscontri alle sue affermazioni è quello che conta”.
L'ultima speranza di una madre
Al telefono la voce di Angelina Manca si incrina per l'emozione. Piange silenziosamente questa donna indomita che da 12 anni, assieme a suo marito Gino e a suo figlio Luca, continua a pretendere la verità sulla morte del suo primogenito. “Speriamo che non venga insabbiato un'altra volta”, sospira sfinita. Ma poi si fa forza: “stavolta, però, penso sia difficile che possano insabbiare... Credo che per la mafia sia arrivato il momento di parlare di Attilio... C'è qualcosa nella mafia che sta cambiando, è come se volesse che emerga l'omicidio di Attilio”. “Quando ho avuto la notizia delle dichiarazioni di D'Amico non sapevo se piangere o se essere contenta perchè questo ridava dignità ad Attilio. Erano da poco passate le dieci di ieri sera quando mi ha telefonato l'avvocato Repici, io ero già a letto perchè mi sentivo poco bene, ma mi sono subito alzata. E' stata un'emozione indescrivibile... In questi anni ho pianto poco per la morte di Attilio, per il dolore che avevo dentro... Ieri invece è stato come un pianto liberatorio, finalmente riuscivo a restituire dignità a mio figlio. Io e Gino siamo stati tutta la notte svegli a parlare, è stato come se avessimo rivisto tutto quello che avevamo detto dall'inizio: i Servizi segreti, il depistaggio, l'ultima telefonata fatta scomparire dai tabulati, quello che ci aveva detto Vittorio Coppolino una settimana dopo la morte di Attilio sulla possibilità che nostro figlio avesse potuto visitare Provenzano quando ancora nessuno sapeva della sua operazione...”. Angelina si ferma un attimo e prende fiato: “l'omicidio di mio figlio si poteva risolvere subito e invece è stato affossato dalle istituzioni. Ma ora non è più come prima, qualcosa da oggi è cambiato”.
Tratto da: antimafiaduemila.com