di Lorenzo Baldo
I legali della famiglia del giovane urologo chiedono uno sforzo investigativo per fare luce sulla morte del loro congiunto
“E' necessario che codesta On.le Procura Nazionale Antimafia eserciti tutti i propri poteri di coordinamento e di indagine tra le Procure Distrettuali Antimafia di Roma, Palermo e Messina, affinchè si assicuri un efficace coordinamento e scambio di informazioni fra i predetti Uffici inquirenti, soprattutto attraverso una coerente e unanime valutazione della attendibilità delle dichiarazioni del D'Amico (il pentito Carmelo D'Amico, ndr), in quanto incoerenze e divergenze di vedute su queste cruciali dichiarazioni comporterebbero l'inefficacia della doverosa azione della Magistratura italiana, che finora ha impedito di svelare uno dei più oscuri misteri criminali degli ultimi anni e di individuare i responsabili di tale brutale omicidio.
Solo un efficace coordinamento fra tutte le procure coinvolte consentirebbe che il procedimento penale relativo alla morte di Attilio Manca possa finalmente trovare adeguato ed organico approfondimento in una logica di correttezza e coerenza investigativa che segnerebbe il punto di svolta nell'accertamento della verità”. Eccolo finalmente l'esposto depositato alcuni giorni fa alla Procura Nazionale Antimafia dai legali della famiglia Manca (il giovane urologo trovato morto nella sua casa di Viterbo il 12 febbraio 2004), Fabio Repici e Antonio Ingroia. Nell'istanza si chiede espressamente al Procuratore nazionale, Franco Roberti, di “esercitare, ai sensi dell'art. 371-bis c.p.p., ogni Suo più ampio potere e prerogativa di coordinamento e di impulso, eventualmente anche attraverso l'emanazione di specifiche direttive al fine di risolvere contrasti di valutazione dei diversi Uffici, e così promuovere e rendere effettivo il coordinamento investigativo, al fine di giungere quanto prima all'accertamento della verità sulla tragica morte per mano mafiosa del giovane urologo Attilio Manca, verità che i familiari attendono da fin troppo tempo a causa delle ripetute omissioni istituzionali e dei continui depistaggi investigativi”.
Di fronte ad una ipotetica domanda sul perchè sia stato necessario presentare un simile esposto i due legali replicano scrivendo senza mezzi termini: “per rimediare ad una gravissima ingiustizia”. Per Repici e Ingroia si tratta realmente di una “ingiustizia aggravata dalla colpevole ed inescusabile trascuratezza, disorganizzazione, negligenza e disinteresse con cui sono state condotte le indagini relative a questa misteriosa morte, condotte dalla Procura di Viterbo”. “Mettendo assieme tutti i vari tasselli emersi in questi dodici anni – continuano i due avvocati – risulta chiaramente che si è trattato di un omicidio, e di un omicidio di mafia, anche se non di sola mafia”. Uno dopo l'altro vengono quindi riassunti gli aspetti principali che caratterizzano l'intera vicenda: a partire dal mancinismo del giovane urologo e dalla sua non-tossicodipendenza.
Nel documento viene focalizzato il contesto barcellonese nel quale si muovono i protagonisti di questo mistero tipicamente italiano: il ruolo del cugino di Attilio, Ugo Manca, quello dei suoi amici e sodali, fino ad arrivare all'ombra di Bernardo Provenzano dietro la quale si muovono determinati apparati di Stato. Allo stesso modo viene inquadrata la figura della cinquantenne romana, Monica Mileti, accusata di aver ceduto la dose fatale di eroina, fino ad arrivare alla lacunosa autopsia eseguita dalla dott.ssa Dalila Ranalletta.
Per Ingroia e Repici l'indagine sulla morte del dottor Manca “ha visto anche l'avvicendarsi di una serie di depistaggi, che non possono che far pensare ad un tentativo di 'insabbiamento'. In particolare, nel corso delle indagini difensive espletate, è emersa con certezza la falsità di una informativa della Squadra Mobile di Viterbo (riferita alla falsa presenza di Attilio Manca all'ospedale di Viterbo nei giorni in cui Provenzano veniva operato a Marsiglia, ndr), al cui vertice vi era il dott. Salvatore Gava (già condannato in via definitiva a 3 anni per un falso verbale redatto durante il G8 di Genova, ndr)”.
Una particolare attenzione viene rivolta quindi alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Stefano Lo Verso, Giuseppe Setola (che successivamente ha ritrattato, possibilmente a seguito di “pressioni esterne”) e soprattutto nei confronti di Carmelo D'Amico che ha riacceso i riflettori sulle plausibili responsabilità di mafia e Servizi dietro la morte del medico barcellonese. “Dichiarazioni di grande portata – evidenziano i legali della famiglia Manca – soprattutto perchè confermano in pieno la tesi finora sostenuta dalle persone offese, secondo cui Attilio Manca venne brutalmente ucciso in modo premeditato da un gruppo criminale mafioso-istituzionale, con la compartecipazione di soggetti appartenenti a Cosa Nostra, a Servizi segreti deviati ed alla massoneria, tutti facenti parte di un'unica rete di protezione del latitante Bernardo Provenzano, garante, sul versante mafioso, della trattativa Stato-mafia”. E proprio a seguito delle dichiarazioni di D'Amico, Ingroia e Repici sottolineano che i familiari del giovane urologo “si sarebbero legittimamente attesi” una sorta di “impegno investigativo” da parte della Procura Capitolina alla quale sono confluiti i verbali di D'Amico. Per i due legali, la Procura di Roma “pur sollecitata dai familiari di Attilio Manca anche con il deposito dell'interrogatorio de quo (di D'Amico, ndr) a tutt'ggi non risulta avere riconosciuto attendibilità a tali dichiarazioni, con le dovute iscrizioni di un procedimento contro noti per omicidio premeditato con l'aggravante 'mafiosa'”. Tutto ciò “mentre, nello stesso momento, la Procura Distrettuale di Messina risulta a questi difensori attribuire piena attendibilità alle dichiarazioni di D'Amico e sta svolgendo in merito approfonditi ed opportuni accertamenti a riscontro di tali dichiarazioni, così come pure risulta che la Dda di Palermo attribuisce attendibilità e valenza probatoria alle dichiarazioni del medesimo D'Amico”, sentito al processo sulla trattativa Stato-mafia.
“E' evidente – viene infine sottolineato nell'esposto – che le varie attività di indagine comunque compiute, in questi anni, dalle varie Procure, Viterbo, Messina, Caltanissetta, Palermo e Roma, necessitano di un coordinamento, nell'auspicio che l'inchiesta sulla morte di Attilio Manca imbocchi – finalmente! - la strada di una verità esaustiva, che restituisca ai familiari la dignità di una memoria ingiustamente calpestata dalla noncuranza e dalla superficialità di chi aveva il dovere di approfondire gli aspetti tutt'oggi rimasti opachi”. La parola passa ora al Procuratore Roberti.
Tratto da: antimafiaduemila.com