Intervista su La Stampa dopo l'esposto con la richiesta per la riapertura delle indagini
di AMDuemila
"Ormai ho una certa età, mio marito non sta bene. Spero almeno che potremo assistere alla riapertura delle indagini. Abbiamo resistito fino ad oggi per non permettere che Attilio venisse ucciso due volte: la seconda con l'infamia. E abbiamo vissuto questo lungo inferno in una bolla di solitudine in cui – a tratti - la rabbia ha superato il dolore". Sono queste le parole di una madre, Angelina Manca, che da 19 anni assieme al resto della sua famiglia (il marito Gino e l'altro figlio, Gianluca) attende di conoscere la verità sulla morte di suo figlio. Un'affermazione diretta di chi nutre ancora speranza, in particolare dopo la richiesta di riapertura indagini.
La stessa è stata presentata ufficialmente alla procura di Roma e alla Direzione nazionale antimafia, con una denuncia "circostanziata", nei giorni scorsi dall'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia del giovane urologo siciliano che fu ritrovato cadavere nella sua abitazione a Viterbo il 12 febbraio 2004.
Nell'intervista, rilasciata a La Stampa, Angelina parte dall'intercettazione del 2003, scovata da un giornalista inglese e sulla quale insistono verifiche attendibili, in cui dei boss parlano di "dover fare la doccia a un medico".
"Leggere quella conversazione mi ha fatto pensare all'Olocausto. Agli ebrei che vengono accompagnati nelle camere a gas.
Nell'articolo si ricordano tutte le anomalie del caso Manca e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che raccontano dei contatti che furono portati avanti per giungere all'urologo, da parte del gruppo che gestiva la latitanza di Bernardo Provenzano. E' noto che il capomafia corleonese era malato e che è stato anche operato.
Poi c'è l'ombra del depistaggio sul caso Manca. Altro che morte per overdose da eroina, come raccontano gli atti dell'epoca. L'assoluzione definitiva e con formula piena della donna, Monica Mileti, che – per l'accusa - avrebbe ceduto l'eroina al medico, apre nuovi scenari, accompagnata dalla consulenza del tossicologo Salvatore Giancane.
E poi il sostengo delle conclusioni della commissione parlamentare antimafia che parla apertamente di una morte "dovuta a probabili contatti con Provenzano".
Angelina Manca da sempre non ha dubbi: "Sulle due siringhe trovate in casa non c'erano le impronte di mio figlio, sul cadavere c'erano solo i fori delle due somministrazioni, non venne repertato nessun altro segno di pregresse venipunture. I segni delle punture di eroina rinvenute sul braccio sinistro sono incompatibili con il mancinismo puro di mio figlio. Non fu rinvenuto nessun laccio emostatico, né l'occorrente per sciogliere l'eroina".
La mamma di Attilio non perde la speranza e riparte dal sostegno che in questi anni ha ricevuto da più parti d'Italia. Non dal suo paese, Barcellona Pozzo di Gotto, dove "avvocati, magistrati, medici non ci salutano" e "il Comune non ha mai organizzato una manifestazione, un convegno per Attilio".
Il caso Manca è scomodo e in questo lungo tempo di mancate verità, racconta sempre la madre, "quando cercavo da sola la verità e facevamo il nome di Provenzano, qualcuno avvicinò la mia famiglia per suggerire di dire che ero diventata pazza per il dolore. In questi 19 anni nessun magistrato ha ravvisato la necessità di interrogare me, mio marito e mio figlio".
Tratto da: antimafiaduemila.com
ARTICOLI CORRELATI
Omicidio Attilio Manca: richiesta riapertura delle indagini a 19 anni dalla sua morte
Giustizia per Attilio Manca: se il tempo è galantuomo
Se la famiglia di Attilio Manca chiedesse all'Europa la verità su quanto accadde
di Saverio Lodato