di Miriam Cuccu
A 11 anni dalla morte il fratello Gianluca lancia un appello al Presidente Mattarella
Se si dovesse aggiungere un capitolo, alla storia di Attilio Manca, parlerebbe del silenzio. Un silenzio che da sempre circonda la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto – crocevia di forze mafiose e massoniche sapientemente incastonate negli ambienti istituzionali – trovato morto a Viterbo la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004. Proprio contro il silenzio di personaggi a poco a poco tirati in ballo nella vicenda si è levato ieri, ancora una volta dopo 11 anni, il ricordo di Attilio Manca nel dibattito (organizzato dall’Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca insieme a un cartello di associazioni antimafia, patrocinato dal comune di Barcellona Pozzo di Gotto) che ha seguito la Santa Messa.
In questi 11 anni la famiglia Manca ne ha viste tante, probabilmente troppe. Costretti a fare “guerra” allo Stato per impedire che di Attilio fosse deformata persino la memoria storica, prima si sono scontrati contro un pm e un procuratore (Renzo Petroselli e Alberto Pazienti, della Procura di Viterbo) che hanno immediatamente etichettato la morte dell’urologo come un suicidio da overdose, per poi estromettere i familiari dall’unico processo (quello a Monica Mileti, accusata di aver dato la droga ad Attilio) che indagasse su una morte che tutto può essere, meno che un suicidio. “Sarà una coincidenza – ha riflettuto Luciano Mirone, giornalista e autore del libro “Un ‘suicidio’ di mafia”, introdotto dal vicedirettore di Antimafia Duemila Lorenzo Baldo, moderatore dell’evento – ma dal delitto del giornalista Beppe Alfano, che ha acceso tutti i riflettori su Barcellona, si è passati al silenzio del suicidio di Adolfo Parmaliana e Attilio Manca. Silenzio da Ugo Manca, Salvatore Fugazzotto e da tutta la cricca barcellonese. Silenzio dal capo della Squadra Mobile di Viterbo, autore di un falso verbale sulla presenza di Attilio in ospedale nei giorni in cui Provenzano era a Marsiglia. Silenzio dai magistrati, dopo le bugie che ci hanno raccontato alla prima udienza. Tace anche la dottoressa Ranalletta, che ha omesso di descrivere le lesioni sul corpo di Attilio e oggi ha fatto carriera su Mediaset”.
“Petroselli non ha mai voluto vedere neanche i fatti più banali – ha protestato Fabio Repici, legale difensore dei Manca – certe cose bastava leggerle, invece che guardarle con assoluta trascuratezza. Oggi però, vengono confermate tante cose” come la pista che porta dritta alla mafia barcellonese e alla latitanza di Bernardo Provenzano, che Attilio avrebbe operato in assoluta segretezza a Marsiglia. L’ipotesi del suicidio per droga, però, continua ad essere difesa a spada tratta da Petroselli e Pazienti, anche nella recente udienza davanti alla Commissione parlamentare antimafia: “Noi non siamo nella posizione di parlare, a inizio indagine, di depistaggio,– ha commentato Francesco D’Uva, deputato M5S e componente della Commissione antimafia – parliamo di sciatteria, crediamo si tratti di negligenza ma vedremo se in malafede”. “Questi soggetti sono responsabili di condotte intollerabili” ha invece ribattuto Repici, parlando poi dell’imputazione per Antonio Ingroia, che ugualmente assiste la famiglia Manca, per aver criticato la conduzione delle indagini della procura viterbese: “L’incriminazione di un avvocato per avere detto la verità in udienza avrebbe dovuto far sollevare il Parlamento, invece anche in questo caso il silenzio”. Un “raro accanimento”, così l’ha definito lo stesso Ingroia, una “diligenza che non è stata riscontrata nel cercare di esplorare tutte le evidenze, a cominciare dalla scena del delitto”. Il corpo di Attilio è stato ritrovato con due buchi sul braccio (il sinistro, nonostante fosse un mancino puro) e varie ecchimosi sul corpo. “Evidenti e palesi depistaggi”, secondo l’ex pm di Palermo, mentre col tempo il caso Manca si starebbe rivelando sempre più legato a doppio filo con la stessa trattativa Stato-mafia: “Attilio Manca è vittima di quella trattativa – ha affermato Ingroia – di quella rete che doveva proteggere, mantenere e curare Provenzano per interesse dello Stato” e in cambio il padrino corleonese “doveva tenere a freno le strategie stragiste della mafia. Chi non si adegua al sistema deve essere eliminato o neutralizzato, come oggi i pm della trattativa. Così si spiega l’accanimento e il depistaggio, le singolarità, le anomalie, le ritrattazioni – come quelle del collaboratore Giuseppe Setola – perché se si scoprisse la verità su Manca, si scoprirebbe anche la verità su tutto il resto”.
Per questo Gianluca, fratello di Attilio, ha lanciato un appello al neo Presidente della Repubblica: “Credo che, essendo una vittima di mafia, debba esprimere solidarietà al pool (del processo trattativa, ndr) e in particolare a Di Matteo, che necessiterebbe di una tutela ad hoc che solo lo Stato potrebbe dare. Parlando di trattativa non si può non parlare di Attilio Manca”.
“Ma perché trattare, quali interessi si devono proteggere? – si è chiesto Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila – una mostruosa somma di interessi, anche in denaro. Quali interessi sarebbe andato a toccare Attilio se fosse rimasto vivo, se avesse parlato? Se i soldi della mafia, stimati in 150 miliardi l’anno, servissero anche allo Stato per mantenere la nostra economia, allora un motivo c’è per convivere. Omicidi di Stato come quello di Attilio Manca o di Antonino Agostino, le stragi di Falcone e Borsellino, sono serviti, sono stati necessari per proteggere interessi economici”. “Per me è evidente, che Attilio Manca è stato ucciso, così come è evidente che mio fratello fu vittima dello Stato-mafia – ha detto poi Salvatore Borsellino, fratello del giudice trucidato in via D’Amelio – siccome io cerco giustizia, e vado in via D’Amelio con tante agende rosse levate in alto, succede che le istituzioni la disertano. Ma che Paese è quello in cui le istituzioni hanno paura delle contestazioni, cosa ricorda loro quell’agenda rossa? Forse quel patto tra mafia e Stato per il quale è stato sacrificato mio fratello insieme agli agenti di scorta”.
Attorno a Salvatore si stringono tutti coloro che hanno dovuto piangere un familiare ucciso dalla mafia. Oltre ai Manca, c’è Vincenzo Agostino con la moglie Augusta, Pietro Campagna, Ferdinando Domè e tanti altri. Ma è Angelina, madre di Attilio, a riscaldare i cuori di tutti i presenti prima della chiusura del dibattito con la poetessa siciliana Lina La Mattina: “Non potete immaginare la gioia che mi avete dato – ha detto Angela con commozione – finalmente mi avete fatto capire che non sono sola. Accanto a noi c’è un esercito che ogni giorno diventa sempre più numeroso, purtroppo non abbiamo Barcellona, ma un po’ alla volta… abbiamo però il sindaco (Maria Teresa Collica, presente all’incontro, che ha dato il suo saluto, ndr) alcuni assessori e pochissimi altri cittadini. Vi prego, non lasciateci soli, abbiamo bisogno di tutta la vostra forza”.
Tratto da: antimafiaduemila.com
I silenzi sulla morte di Attilio Manca: "Un muro che oggi inizia a sgretolarsi"
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