di Lorenzo Baldo e Miriam Cuccu
Assenti gli altri cinque testimoni. E il pm vieta le riprese
Più che un'udienza è sembrata una “toccata e fuga”. Al processo per la morte di Attilio Manca, urologo siciliano trovato morto in circostanze misteriose per un mix di droga, tranquillanti ed alcool, sei testimoni dovevano essere esaminati per chiarire una vicenda dai contorni ancora oscuri e irrisolti. Invece solo Angela Manca, madre di Attilio, ha affrontato il viaggio da Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) per presentarsi davanti al giudice di Viterbo Silvia Mattei. Per tutti gli altri le mancate notifiche e la burocrazia hanno impedito l'esame di questo pomeriggio. Nel quale, peraltro, Angela Manca è stata liquidata con poco più di una domanda: il pubblico ministero – magistrato onorario che sostituiva il pm – ha chiesto unicamente alla madre dell'urologo se conoscesse Monica Mileti, unica imputata per spaccio al processo celebrato a Viterbo, città in cui Attilio prestava servizio al “Belcolle”. E questo nonostante fosse già pacifico che tra le due donne non esistesse alcun rapporto di conoscenza.
Così, ancora una volta, Angela Manca ha ripercorso – sinteticamente, per quanto le è stato possibile nel corso dell'esame – la vita di Attilio e le sue frequentazioni, rimarcando nuovamente come avesse sentito parlare della Mileti soltanto dieci giorni dopo la morte del figlio da Salvatore Fugazzotto, ex compagno di scuola del dottor Manca. Fugazzotto sostiene che l'attuale imputata consegnava la droga ad Attilio ogni due o tre anni. Un'assurdità. Angela, rispondendo alle successive domande del giudice, ha quindi spiegato come e quando il figlio per scelta si allontanò dalle sue frequentazioni barcellonesi, le uniche che poi parlarono del fatto che Attilio consumava droga – non solo Fugazzotto ma anche il cugino, Ugo Manca – mentre i colleghi dell'urologo affermarono sempre il contrario, dichiarando di non aver mai notato alcun dettaglio che facesse pensare all'uso di stupefacenti, meno che mai segni punture sulle braccia.
Angela ha quindi raccontato di quando i famigliari appresero la notizia della morte di Attilio, inizialmente ricondotta ad un aneurisma. Perchè, invece, pochissimi giorni dopo si parlò di droga come causa del decesso? E perchè fu ritrovata nell'abitazione dell'urologo l'impronta di Ugo Manca? Tutte circostanze su cui si è soffermata la teste, ma che in aula non sono state ulteriormente approfondite. Per giunta con l'incomprensibile divieto da parte del pm di effettuare le riprese audiovisive. Al processo, infatti, si è presentata una troupe del programma “Chi l'ha visto?” (che in passato trattò il caso Manca) per documentare l'udienza. Persino la difesa dell'imputata – oggi assente – aveva acconsentito alle riprese. Lo stop del pubblico ministero onorario è stato però accolto dal giudice. Il motivo? L'udienza, per il pm, non è di pubblico interesse.
Che quello per le riprese fosse un grave divieto l'ha poi rimarcato l'avvocato Antonio Ingroia (legale difensore della famiglia Manca, presente insieme al collega Fabio Repici). “A Viterbo c'è una giustizia a parte” ha detto, intervistato dalla troupe di “Chi l'ha visto?”, evidenziando la propria amarezza e la gravità della scarna escussione di Angela Manca: non solo una madre che ha visto una dopo l'altra chiudersi le porte che le avrebbero permesso di ottenere verità e giustizia sulla morte del figlio, ma una fonte di preziose informazioni sulla vita di Attilio, urologo di comprovata professionalità che, secondo famigliari e avvocati difensori, avrebbe operato alla prostata il boss Bernardo Provenzano in terra francese, a Marsiglia. Sempre più elementi sembrano convergere sul fatto che la morte di Attilio fosse collegata alla latitanza del capomafia di Corleone. Tesi tra l'altro avvalorata dalle dichiarazioni del pentito Carmelo D'Amico, ex killer della mafia barcellonese. Il processo, però, si occupa unicamente di indagare se Monica Mileti abbia o no ceduto la droga ad Attilio, ma sarebbero comunque state di notevole interesse le informazioni che Angela Manca avrebbe potuto rendere in aula. L’accusa, in passato, non aveva specificato la quantità dello stupefacente, o se si tratta di un’ipotesi grave o lieve, dato che all'epoca non era richiesto. Da questo dipende però l'esito del processo: se infatti secondo il giudice si tratterà di un'accusa lieve il reato sarà automaticamente prescritto, in quanto risalente al 2004. Diversamente, ricadendo tra i casi gravi, si prescriverebbe in oltre vent'anni.
“La signora Manca è venuta qui per dimostrare che la vera matrice dell'omicidio Manca è altro – ha detto ancora Ingroia – invece non c'è stato modo di approfondire questo”. Profondamente amareggiata la madre di Attilio dopo l'ennesimo schiaffo da parte della macchina della giustizia: “Era logico che non conoscessi Monica Mileti, – ha spiegato alla troupe televisiva – ogni volta che vengo a Viterbo subisco un'incredibile umiliazione. È come se avessimo gli stessi pm contro, prima Petroselli (che seguì le primissime indagini etichettando il decesso come il “suicidio” di un “drogato”, ndr) oggi altri. Ci sono rimasta male, ma da Viterbo non mi aspetto più nulla. Mi auguro che la verità su Attilio emerga da altre procure”. Il giudice ha fissato altre tre udienze fino al primo febbraio 2017, giorno in cui teoricamente si attenderà la sentenza. Se questi sono però i presupposti, la speranza è che l'appello di Angela Manca verso le altre procure che seguono piste riconducibili al caso Manca (quelle di Roma e Messina) non rimanga inascoltato.
Tratto da: antimafiaduemila.com
Foto © Emanuele Di Stefano