Martedì 10 Dicembre 2024

di AMDuemila
"Questa notizia mi ha fatto venire i brividi, come quando vidi le foto del cadavere di Attilio. Non ho potuto fare a meno di pensare all'Olocausto, quando gli ebrei internati, con la scusa di 'fare la doccia', venivano indirizzati alle camere a gas. Attilio fu vittima della stessa crudeltà. Il pensiero che questa intercettazione risalga al 2003 e che la Procura di Roma non ne abbia mai fatto uso mi toglie il sonno" ha detto all'Agi Angela Gentile Manca, madre dell'urologo siciliano, morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, in merito alla notizia su un'intercettazione del 2003, pubblicata sulle nostre pagine dai giornalisti Tobias Follett e Antonella Beccaria.
"Penso ad Attilio - ha detto - che in quei giorni programmava il suo futuro, progettava anche per il tumore alla vescica la laparoscopia, che allora non veniva eseguita in tutta Europa, pensava a ottenere un mutuo per acquistare una casa. Era una persona felice, realizzata e aveva davanti a sé una carriera brillante. Non sapeva di essere già un morto che camminava. Come rivelato da un pentito, lo volevano uccidere per Natale di quell'anno, con una pistola. Poi optarono per un'altra soluzione, senza fare rumore. Qualcuno si recò a Viterbo per organizzare l'omicidio, studiare la casa di Attilio, le sue abitudini. E poi Attilio fu ucciso in quel modo macabro. Ora è arrivato il momento di riaprire le indagini e istruire un processo. Ed è arrivato anche il momento di liberare la memoria di Attilio da tutto il fango che persone indegne, anche in sedi istituzionali, hanno riversato su di lui in questi anni. Io e la mia famiglia abbiamo sempre creduto nella giustizia e abbiamo fiducia nella parte sana della magistratura. E non molleremo - conclude - finché non otterremo verità e giustizia complete per Attilio".
"Per l'ennesima volta sono dei giornalisti, Tobias Follet e Antonella Beccaria, a supplire alle inerzie di organi istituzionali. Così adesso arriva la notizia che nel cerchio ristretto che accudiva il boss Provenzano si discuteva della necessità di uccidere un medico. È la conferma alle rivelazioni già fatte da numerosi collaboratori di giustizia. Ed è la conferma delle inspiegabili falle istituzionali che si sono verificate a protezione della latitanza di Provenzano”, ha affermato all'AgiFabio Repici, legale della famiglia Manca. "È esattamente quanto ha spiegato il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico. Nelle sue dichiarazioni sull'omicidio di Attilio Manca, recentemente dichiarate attendibili anche dalla Corte di appello di Reggio Calabria che ha condannato per associazione mafiosa Rosario Cattafi - ha commentato Repici - ha spiegato che l'assassinio dell'urologo barcellonese è un delitto compiuto in sinergia da Cosa nostra e da apparati deviati dello Stato, in uno scenario tipicamente piduista. Lo stesso generale dei carabinieri tirato in ballo dal pentito D'Amico, se si guarda l'elenco dei soci onorari del circolo Corda Fratres, era uno dei più celebri affiliati alla loggia P2. Ora non ci sono più alibi per la Procura di Roma. Nelle prossime settimane chiederemo un appuntamento al Procuratore Lo Voi e consegneremo nelle sue mani una denuncia nella quale compariranno tutti gli elementi raccolti in questi ultimi tempi. La verità sul caso Manca - ha concluso il legale della famiglia - è nascosta anche fra le pieghe degli archivi giudiziari nei quali riposano sotto tonnellate di polvere i misteri sulla latitanza di Bernardo Provenzano, protetta da settori istituzionali. Bisogna solo dissotterrare le informazioni insabbiate per decenni. A partire da quelle riguardanti la presenza di Bernardo Provenzano in provincia di Messina".

Tratto da: antimafiaduemila.com

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Verità e Giustizia per Attilio Manca

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