Martedì 10 Dicembre 2024

di Lorenzo Baldo
Il legale: “Nelle prossime settimane formalizzata la richiesta alla Dna di occuparsi del caso”
L’avvocato della famiglia Manca non ha dubbi. Per ottenere tutta la verità sull’omicidio di Attilio Manca“occorre un pentito di Stato, una giustizia eguale per tutti, una magistratura coraggiosa e un’opinione pubblica non distratta”. L’investigazione di Antonio Ingroia sulla parte oscura del nostro Stato parte da lontano, negli anni in cui era ancora un magistrato: dalle indagini palermitane sui “Sistemi criminali”, fino a quando ha fondato il pool sulla trattativa Stato-mafia; sa bene che “chi tocca quei fili o muore, o viene professionalmente annientato”. Ed è altrettanto consapevole che questa è “la vera ragione del ‘prudente immobilismo’ della magistratura italiana”. La revoca della sua scorta è la risposta più eloquente di uno Stato che non vuole farsi processare per i propri scheletri negli armadi. Uno di questi riguarda indubbiamente il caso del giovane urologo trovato morto a Viterbo la mattina del 12 febbraio 2004. Nel giorno del 15° anniversario della morte di Attilio Manca, Ingroia analizza quindi le estreme difficoltà di questo caso giudiziario, per poi rivelare una novità. Nelle prossime settimane assieme al collega Fabio Repici presenteranno alla Direzione nazionale antimafia un’istanza formale per chiedere che “il delitto Manca sia oggetto delle indagini del pool sulle stragi, così che la Procura Nazionale possa svolgere un prezioso ruolo di ‘stimolo’ nei confronti delle Procure competenti affinché la verità venga accertata”.

Avvocato Ingroia, dal momento in cui lei ha affiancato l’avv. Repici nella difesa dei familiari di Attilio Manca si sono succeduti, uno di seguito all’altro, due esiti giudiziari relativi al caso Manca: la sentenza di Viterbo che sostanzialmente condanna l’unica imputata e definisce la vittima un tossicodipendente; e successivamente l’archiviazione del Gip di Roma che ha accolto la richiesta della procura capitolina. Quali sono state le peculiarità di questi due risultati e perché si sono verificati?

Il perché si spiega con due concetti semplici ma agghiaccianti: la comodità del pregiudizio minimizzante e l'assenza di coraggio da parte della magistratura oggi prevalente in Italia.
La magistratura, viterbese e romana, aveva due strade davanti: la prima, quella più comoda e “promettente” in termini di carriera e di omologazione nel “gregge”, che vuole collocare il “caso Manca” come un caso ordinario di morte accidentale da tossicodipendenza; e la seconda, più ardua, complicata, “rischiosa” per la carriera del magistrato di turno e per l’“immagine” dello Stato, che avrebbe chiamato in causa responsabilità istituzionali e l'ennesima conferma della ricostruzione consacrata positivamente dalla sentenza di condanna della Corte d’Assise di Palermo nel processo “Trattativa Stato-mafia”. La magistratura laziale ha scelto la prima strada, quella più comoda, incurante di tutte le inoppugnabili risultanze che ne evidenziano l’insostenibilità logico-probatoria e che rafforzano la tesi dell'omicidio di “matrice Stato-mafia”. Tutto il resto (condanna della Mileti, archiviazione del delitto Manca, rifiuto di riesumarne la salma, delegittimazione dei pentiti che parlano dell’omicidio Manca come delitto di Stato, incriminazione per calunnia perfino di uno dei suoi difensori di parte civile, e poi condanna di quest’ultimo in sede civile per diffamazione degli inquirenti etc.) ne è una conseguenza.

manca attilio reparto urologia

Quindi nell’immobilismo giudiziario sul caso Manca - che, come si è visto, può sfociare in una vera e propria malagiustizia - il collegamento tra la morte di questo giovane urologo e la trattativa tra Stato e mafia è così determinante?
Assolutamente. Io credo che sia proprio questa la vera ragione del “prudente immobilismo” della magistratura italiana. Chi tocca quei fili o muore, o viene professionalmente annientato. Già accaduto nel passato più remoto, accade ancora. E certi magistrati, molti purtroppo, alle pelle e alla carriera ci tengono più di ogni altra cosa…

Bisogna dedurre allora che ha ragione l’ex sostituto procuratore generale di Messina, Marcello Minasi, quando ha dichiarato che la verità sul caso Manca non verrà mai fuori in quanto si tratta propriamente di “un episodio della ‘trattativa di Stato’”? Cosa serve: un pentito di Stato, una giustizia giusta che applichi la legge uguale per tutti, o cos’altro?
Minasi ha certamente ragione. Quei brandelli di verità venuti fuori sulla “trattativa Stato-mafia”, su cui si è fondato il processo di Palermo (solo una parte, purtroppo, perché ci hanno bloccato prima che arrivassimo alla “stanza della verità”, Napolitano e conflitto di attribuzione docet…), ebbene quei brandelli di verità, comunque sconvolgenti, oggi non sarebbero mai venuti fuori. Perché le condizioni odierne sono molto peggiori di quelle del 2009/2012. Certo, servirebbe, tutto questo: un pentito di Stato, una giustizia eguale per tutti, una magistratura coraggiosa e un’opinione pubblica non distratta. Ma nessuno di questi elementi vedo oggi all’orizzonte. Non sono ottimista, purtroppo.

La stessa ex Commissione antimafia (nella sua maggioranza), dopo un debole segnale iniziale che sembrava volesse significare una volontà a fare luce su questo mistero, ha di fatto avallato le tesi delle Procure di Viterbo e di Roma. Che idea si è fatto a riguardo?
Non mi ha sorpreso, purtroppo, la scelta - che è stata una vera e propria “scelta di campo” - della Commissione Parlamentare. Quando c’è una verità “ufficiale” e precostituita, ci vuole coraggio anche da parte delle Commissioni Parlamentari d’Inchiesta a mettersi contro, ed il coraggio non mi è parsa la qualità che abbia contraddistinto affatto l’operato della Commissione di cui era Presidente la Bindi e vicepresidente Claudio Fava, anzi...

Certo è che recentemente, proprio in merito all’ex vicepresidente della Commissione antimafia, Luigi Gaetti, è emerso (da un’inchiesta de L’Espresso) che quest’ultimo si avvale della collaborazione dell’ex capocentro del Sisde di Messina. Come va interpretato questo dato?
Direi che è un dato che parla da solo. Non occorrono interpretazioni.

manca attilio gianluca gino parigi 1982

Dopo il rigetto della vostra opposizione all’archiviazione sul caso Manca, da dove ritiene si debba ripartire a livello investigativo?
Difficile a dirsi. Il muro di gomma, che è stato eretto a bella posta per renderci impossibile di abbatterlo o scavalcarlo, è molto alto, forse troppo. Resta una sola via: eluderlo, aggirare quel muro, usando i (pochi) strumenti che il codice ci lascia a disposizione. Inutile rivolgersi oggi alle autorità giudiziarie immediatamente competenti, quelle di Roma e di Viterbo. Ci rivolgeremo, come abbiamo già fatto, alla Procura Nazionale Antimafia, alla “nuova” Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra, e svolgeremo in prima persona - nei limiti e con i pochi mezzi a disposizione - indagini investigative difensive.

A tal proposito da qualche tempo si parla di una prossima istituzione di un pool investigativo sulle stragi all’interno della Direzione Nazionale Antimafia; che possibilità ci sono che questo Ufficio possa investigare sul caso Manca?
Vi rivelo un particolare, riservato ma non segreto. Fin dalla scorsa estate, mi pare nel mese di luglio, ho avuto modo di parlarne con il Procuratore Nazionale Federico Cafiero de Raho che aveva già manifestato la sua idea di costituire questo pool ed io in tale occasione gli chiesi, formalmente, nella mia veste di codifensore, col collega Fabio Repici, della famiglia, che anche il delitto Manca fosse oggetto delle indagini di questo pool, in modo tale che la Procura Nazionale potesse svolgere un prezioso ruolo di “stimolo” nei confronti delle Procure competenti perché la verità venga accertata. Ora che l’intenzione del Procuratore Nazionale si è trasformata in azione, abbiamo intenzione di presentare una formale istanza motivata alla DNA in questo senso. Cosa che faremo presto, ritengo entro il mese di febbraio.

Quest’anno il tema del convegno dedicato all’anniversario della morte di Attilio Manca ha un titolo emblematico: “Un caso italiano di giustizia egiziana”. Si può dire che sussiste una sorta di parallelismo con l’omicidio di Giulio Regeni? Ma se i muri di gomma che impediscono di arrivare alla verità per entrambi i casi sono simili, che speranze ci sono?
Certo che c’è un parallelismo. Ma c’è, purtroppo, una differenza che rende il caso Manca più orfano di giustizia del “caso Regeni”, se si potesse fare un’orribile classifica del genere. Il “caso Regeni” chiama in causa le gravissime responsabilità del governo egizio e certe tiepidezze dei governi che si sono avvicendati in questi anni, compreso il governo giallo-verde in carica, ed anche quelle della Procura di Roma, che è andata molto coi piedi di piombo, ma almeno c’è una mobilitazione generalizzata della stampa, di tante associazioni e personalità, e dell’opinione pubblica. Nel caso Manca, a parte pochissime testate giornalistiche, come la vostra, e un settore molto limitato dell’opinione pubblica, chi si è davvero mobilitato per Verità e Giustizia sul caso Manca? Nessuno. E perché? Perché è molto più facile, seppur con mille distinguo e prudenze a causa degli interessi italiani in Egitto, scagliarsi contro le omissioni dell’Autorità egiziane, piuttosto che scoperchiare certi malefici pentoloni in casa nostra… Concrete possibilità di arrivare in breve alla verità? Poche. Speranze? Sempre. Arrendersi? Mai.

Tratto da: antimafiaduemila.com

Foto © Imagoeconomica / Famiglia Manca

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